Che cos'é il sarcoma di Ewing?
Il sarcoma di Ewing è una rara neoplasia maligna composta da cellule rotonde indifferenziate. È sempre considerato un tumore ad alto grado di malignità. Deve il suo nome al dott. James Ewing, che ha descritto questa neoplasia per la prima volta nel 1921. È un tumore a partenza prevalentemente ossea, ma può originare anche dai tessuti molli. A livello osseo le sedi più frequenti sono le ossa lunghe (femore e tibia) e la pelvi.
È caratterizzato dalla presenza di traslocazioni cromosomiche. La più comune (85% dei casi circa) è la t(11;22)(q24;q12), che si traduce nel trascritto di fusione EWSR1-FLI1.
La determinazione di tali traslocazioni permette di confermare la diagnosi istologica ed è pertanto utile nel distinguere il sarcoma di Ewing da altre neoplasie a cellule rotonde.
Chi può ammalarsi di questa malattia?
Colpisce soprattutto bambini e giovani adulti, con una età mediana alla diagnosi di 15 anni, ma può interessare anche la popolazione adulta.
È il secondo tumore maligno dell’osso più frequente nei pazienti pediatrici e giovani adulti, ma rimane comunque una neoplasia rara. In Italia il numero di nuovi casi/anno, stimato con interessamento scheletrico è di circa 60. Vi è una prevalenza per il sesso maschile.
Ad oggi non sono note cause certe correlate con lo sviluppo di questa malattia.
Come si manifesta?
I disturbi sono correlati con la sede di insorgenza e le dimensioni della malattia. Il sintomo più precoce è la comparsa del dolore, associato spesso a tumefazione della zona malata. Talvolta il dolore può essere accompagnato da sintomi sistemici quali la febbre.
Nel 20-25% dei pazienti sono presenti localizzazioni secondarie di malattia al momento della diagnosi. Le sedi più frequenti di metastasi sono il polmone e le ossa.
Quali sono gli esami diagnostici?
La diagnosi di sarcoma di Ewing si basa sull’analisi di un campione della massa tumorale prelevato tramite biopsia. Data la rarità di questa malattia è raccomandato che la diagnosi sia confermata da patologi esperti nei sarcomi.
Una volta ottenuta la diagnosi vengono predisposti gli esami di stadiazione, ossia per verificare la diffusione di malattia sia a livello locale (dimensioni, estensione intraossea od extra ossea) che a distanza (presenza o assenza di metastasi). Tali esami comprendono la risonanza magnetica nucleare (RM), la tomografia computerizzata (TC) e la tomografia a emissione di positroni (PET).
Come si cura?
La prognosi del sarcoma di Ewing è nettamente cambiata con l’impiego di approcci terapeutici multimodali che integrano diversi trattamenti, tra cui la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia.
Per la rarità di questa malattia e la complessità della terapia, le cure dovrebbero essere eseguite in centri altamente specializzati, che offrano percorsi di cura multidisciplinari dedicati. In questi centri il percorso terapeutico viene proposto all’interno di studi clinici collaborativi o con protocolli di trattamento stabiliti.
Il trattamento dei pazienti adulti segue gli stessi principi dei pazienti pediatrici. La tolleranza alle cure che ci si può attendere è sostanzialmente la stessa fino ai 40 anni di età circa ed i protocolli di chemioterapia sono uguali a quelli pediatrici. Per pazienti di età più avanzata possono essere necessarie modifiche personalizzate dei programmi di chemioterapia.
a) Chemioterapia
La chemioterapia ha significativamente modificato la prognosi del sarcoma di Ewing, con elevate percentuali di guarigione nelle forme prive di evidenti metastasi all’esordio.
Solitamente il trattamento locale (chirurgico e/o radioterapico) viene fatto precedere da un trattamento di chemioterapia, detta di induzione o primaria. Questo approccio ha diversi vantaggi, tra cui la riduzione delle dimensioni della neoplasia per facilitare l’intervento chirurgico e la valutazione della sensibilità ai chemioterapici utilizzati. In questo modo, il successivo trattamento di chemioterapia può essere modulato in base alla qualità della risposta alla chemioterapia primaria.
Il trattamento di chemioterapia nel suo complesso può coprire un arco di 10-12 mesi. Vengono somministrate diverse combinazioni di farmaci, quelli di dimostrata efficacia e largamente utilizzati sono: adriamicina, ifosfamide, ciclofosfamide, etoposide, vincristina e dactinomicina.
Il sarcoma di Ewing è uno dei pochi tumori solidi in cui il trattamento di chemioterapia ad alte dosi con successiva reinfusione di cellule staminali eritropoietiche autologhe può avere un ruolo. In pazienti con malattia localizzata con scarsa risposta alla chemioterapia pre-operatoria, un trattamento di chemioterapia ad alte dosi con farmaci alchilanti è stato correlato ad un significativo miglioramento della prognosi.
In considerazione della giovane età della maggioranza dei pazienti trattati e dell’elevato rischio di infertilità correlato alla chemioterapia, in particolare quella ad alte dosi, prima dell’inizio delle cure vengono fornite informazioni sui provvedimenti al momento disponibili per la preservazione della fertilità.
b) Chirurgia
Il momento più opportuno per l’intervento chirurgico viene deciso a livello multidisciplinare in base alle caratteristiche della malattia ed alla tolleranza e risposta ai trattamenti. È essenziale che la rimozione della neoplasia sia completa ed ampia. In caso di lesioni ossee vengono utilizzate tecniche di ricostruzione in modo da preservare il più possibile la funzionalità dell’arto.
c) Radioterapia
Il sarcoma di Ewing è una neoplasia considerata altamente sensibile alla radioterapia; questa può essere utilizzata come trattamento definitivo nei casi in cui una chirurgia ampia non sia possibile od accettabile. In alcuni casi viene deciso di eseguire un trattamento di radioterapia pre-operatorio al fine di ridurre maggiormente il volume tumorale. Un trattamento post-operatorio può essere proposto in base alla valutazione di alcuni fattori di rischio quali la sede, la risposta alla chemioterapia primaria, i margini di escissione chirurgica, le dimensioni della lesione.
La radioterapia viene solitamente effettuata tramite i fotoni con tecniche conformazionali. Si utilizzano fasci di radiazioni di diverse intensità mirati al tumore da più angolazioni che permettono di dare alte dosi a livello del tumore e di ridurre gli effetti sui tessuti circostanti. In casi selezionati, possono essere utilizzati i protoni, una tecnica che permette un maggior risparmio dei tessuti sani circostanti.
Un tipo particolare di radioterapia è la irradiazione totale dei polmoni (whole-lung irradiation), che può essere indicata come trattamento di consolidamento nei pazienti con metastasi polmonari all’esordio che abbiano ottenuto una remissione completa.
Come viene trattata la malattia metastatica all’esordio?
I pazienti con metastasi alla diagnosi sono trattati con lo stesso approccio dei pazienti con malattia localizzata. Viene effettuato un trattamento chemioterapico associato a chirurgia e/o radioterapia della lesione primitiva e di quelle metastatiche. I farmaci utilizzati sono gli stessi usati per le forme localizzate. Molti gruppi hanno utilizzato trattamenti di chemioterapia di consolidamento con regimi ad alte dosi per migliorare i risultati in questi pazienti, ma il beneficio sembra meno evidente rispetto alla malattia localizzata.
Quali opzioni terapeutiche ci sono se la malattia si ripresenta?
In caso di ripresa di malattia o di progressione durante il trattamento viene definito un nuovo programma di cura, che può includere la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia. Le scelte terapeutiche dipendono dalla sede di ripresa di malattia e dal tempo trascorso dal termine delle cure, che rimane il fattore prognostico più importante. In particolari sottogruppi di pazienti con lungo intervallo libero da malattia e metastatizzazione polmonare con numero limitato di lesioni può essere preso in considerazione il solo trattamento chirurgico.
Non esistono trattamenti di chemioterapia standard in caso di ripresa di malattia. Vengono utilizzati diversi agenti (ciclofosfamide, ifosfamide, etoposide, topotecano, irinotecano e temozolomide, alte dosi di ifosfamide, carboplatino) da soli o in combinazione. Il trattamento può essere proposto all’interno di studi clinici, che vengono disegnati per meglio definire il ruolo dei chemioterapici già in uso o per valutare l’efficacia di nuovi farmaci (terapia biologica).
In pazienti selezionati con un lungo intervallo libero di malattia alla ricaduta che abbiano poi ottenuto una remissione completa è stato proposto il trattamento di chemioterapia ad alte dosi come consolidamento, il cui impiego rimane controverso.
Sono necessari dei controlli dopo il termine delle cure?
Dopo il termine del trattamento sono previsti dei controlli periodici, per la diagnosi precoce di una eventuale ripresa di malattia (locale o a distanza) e per il monitoraggio di eventuali tossicità tardive correlate alle cure effettuate. I dati a disposizione non sono sufficienti per definire programmi universalmente condivisi. Poiché le riprese di malattia a distanza interessano più frequentemente i polmoni vengono raccomandati controlli con TC del torace senza mezzo di contrasto, ogni 3 mesi nel primo anno dal termine della chemioterapia, ogni 4 mesi nel secondo e terzo anno e successivamente ogni 6 mesi. Associati ai controlli del torace vengono effettuati controlli radiologici della sede di insorgenza di malattia con frequenza simile, salvo particolari necessità dovute al tipo di ricostruzione ossea impiegata. L’uso della PET viene consigliata come controllo annuale nei primi 2-3 anni. Un esame di laboratorio che viene eseguito ad ogni controllo è il dosaggio dell’LDH, che può mostrare elevati livelli sierici in caso di ricaduta.
Tra le possibili sequele dei trattamenti eseguiti, vengono monitorare le patologie ematologiche (sindrome mielodisplastica/leucemia) e le alterazioni della funzionalità cardiaca e renale con esami ematochimici ed ecocardiogramma periodici. Possono essere aggiunti anche esami specifici per valutare deficit gonadici o di fertilità. Il monitoraggio delle tossicità tardive è particolarmente importante per chi è stato trattato in età pediatrica e dovrebbe estendersi anche oltre i 10 anni dal termine delle cure.